Ridurre le tasse resta una priorità ma non si può fare passando per una tassa piatta “iniqua” da ottenere con altri tagli drastici alla spesa pubblica o, peggio ancora, con gli aumenti dell’Iva. Nel primo giorno di audizioni sul Def i due temi sembrano legati a doppio filo.
E il no alla flat tax è uno dei punti che unisce i sindacati e anche, in parte, Confindustria, che dal canto suo propone invece, intanto che si studia in modo approfondito il sistema flat, di procedere con un intervento “a costo zero”, rivedendo la distribuzione dei carichi tra tasse dirette e indirette – come l’Iva, ad esempio – e se necessario anche i costi di alcuni servizi che potrebbero essere sostenuti in “compartecipazione” dai cittadini. Su un punto però sono tutti concordi: nel Documento di economia e finanza ci sono solo riferimenti vaghi, soprattutto su dove reperire le risorse, e una lettura delle stime, anzi, come evidenzia la Cisl, può solo portare a dire che al momento il governo “in nessuna parte indica un’intenzione di procedere alla sterilizzazione degli aumenti Iva”.
E il fatto che il ministro dell’Economia Giovanni Tria prometta una “soluzione bilanciata” non fa altro che alimentare i dubbi che in effetti nei prossimi mesi si possa studiare un ‘aumento selettivo’ delle aliquote, magari solo per alcuni tipi di beni, o a una ‘revisione’ del sistema a tre scaglioni (4%, 10% e 22%). E anche la risoluzione della maggioranza, ancora in fase di definizione, potrebbe non contenere impegni così netti sul nodo Iva. Una sterilizzazione tutta in deficit, osservano tra l’altro gli industriali, non sarebbe “sostenibile” perché porterebbe “il rapporto con il Pil pericolosamente oltre il 3%”.
Ma nemmeno altri pesanti tagli di spesa lo sarebbero, in particolare nel Mezzogiorno, come denuncia lo Svimez, che a sua volta mette in guardia contro gli effetti “fortemente asimmetrici” della flat tax ma anche degli aumenti dell’imposta sul valore aggiunto, che colpirebbero i redditi più bassi, più concentrati al Sud. Difficile quindi trovare quel “mix di interventi” invocato da Confindustria, che consenta da un lato fronteggiare il rischio recessione e dall’altro di mettere in campo misure credibili anche per il calo del debito, che nel frattempo ha toccato a febbraio il nuovo record di 2.363,6 miliardi. Per la ripresa del Pil il governo ha puntato tutto sui due decreti Sblocca cantieri e Crescita, accolti positivamente dall’industria e con più scetticismo dai sindacati. Entrambi i provvedimenti sono però ancora in stand-by, in attesa della bollinatura e della pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Sul cantieri – che nel frattempo ha ‘imbarcato’ anche le misure per le aree colpite dai vari terremoti degli ultimi anni – si dovrebbe essere in dirittura d’arrivo già nei prossimi giorni mentre il decreto per la crescita sarebbe ancora in alto mare.
Frenato non solo dal nodo del rimborso ai risparmiatori coinvolti nei crack bancari ma anche, secondo quanto riferiscono diverse fonti, dalle norme per Alitalia, per consentire allo Stato di convertire in equity il prestito ponte, e per il debito di Roma, su cui negli ultimi giorni si sono registrate tensione tra gli alleati. Su questi due temi, secondo quanto viene riferito, dovrebbe esserci una nuova riunione tecnica nei prossimi giorni ma non si esclude che l’emanazione del decreto, che pure il ministro Luigi Di Maio ha dato per imminente, sia rinviata a dopo Pasqua.