(DAL SITO INTERNET DE LA STAMPA)
ALESSANDRO PREVIATI ANDREA ROSSI
Il conto è tremendamente salato. I comuni del Canavese e le Comunità montane oggi in estinzione, soci di Asa, dovranno contribuire alla ricapitalizzazione del consorzio rifiuti e si dovranno sobbarcare un onere pesantissimo, ben oltre le più nefaste previsioni, che rischia di mandare molte amministrazioni locali gambe all’aria.
Il lodo arbitrale – il negoziato cui le parti in causa si erano affidate per risolvere la contesa – segna un punto pesantissimo a favore del liquidatore Stefano Ambrosini, il commissario incaricato di tutelare i creditori di Asa: i comuni dovranno versare 37 milioni nelle casse del consorzio, cifra superiore ai 28 considerati la peggiore eventualità possibile. Contando che le amministrazioni coinvolte sono 52, i conti sarebbero presto fatti (700 mila euro ciascuna) se non fosse che il fardello non è equamente ripartito: sul Comune di Rivarolo e sulla Comunità montana dell’Alto Canavese pende, ad esempio, una scure di circa 7 milioni a testa.
L’azzardo
I giudici hanno di fatto applicato lo statuto di Asa, che impone ai soci di ricapitalizzare l’azienda, affossata da 80 milioni di debiti, frutto – oltre che di investimenti azzardati – della voragine creata dagli stessi comuni, morosi con i contributi per la raccolta dei rifiuti. Il collegio ha considerato pesanti le responsabilità degli enti locali, colpevoli di non aver vigilato mentre Asa si espandeva a dismisura lanciandosi in operazioni azzardate. Una parabola rapidissima: nemmeno vent’anni anni per passare dai sogni di grandezza al crac.
La crisi comincia nel 2008. Alcune banche, a seguito di alcune inchieste sul management dell’azienda, chiudono i rubinetti al consorzio che, dopo i rifiuti, ha deciso di estendere l’attività a teleriscaldamento, case di riposo, vigilanza privata e gestione dell’acquedotto. L’Asa si trova con un buco di 15 milioni. Ma i soci, anziché ricapitalizzare, prendono tempo, e nel 2010 commissario Ambrosini, nominato dal governo, trova uno sprofondo di 80 milioni. I Comuni arrancano, Ambrosini garantisce i servizi fino alla cessione dei rami d’azienda, centinaia di posti di lavoro vanno in fumo. Il liquidatore intavola una trattativa con i sindaci, che non ne vogliono sapere. Si arriva all’arbitrato che segna una pesante sconfitta per i comuni, ora decisi a fare ricorso. «I comuni, per legge, non sono tenuti a ripianare i debiti di società pubbliche o partecipate una volta che abbiano già effettuato azioni di ripianamento», spiega l’avvocato Paolo Scaparone.
I risvolti penali
Eppure lo statuto dell’Asa inchioda i soci. Comuni e Comunità montane «si impegnano a ripianare eventuali debiti dell’azienda pubblica». Dunque, devono pagare. Il segretario regionale del Pd Gariglio chiede alla Regione di attivarsi per tamponare le conseguenze potenzialmente devastanti dell’arbitrato: «Alla fine il conto lo pagheranno i cittadini, cui i comuni non potranno più erogare i servizi». «Già fatto», gli replica, un po’ stizzito, il presidente Chiamparino. «Ho incontrato i sindaci e Ambrosini, che si è detto disposto a trovare soluzioni che garantiscano al tempo stesso creditori e comunità».
I guai, però, non sono finiti. La procura di Ivrea, su indicazione dello stesso Ambrosini, ha aperto due fascicoli sulla presunta malagestione di Asa. La storia del consorzio pubblico canavesano, probabilmente, è ancora in parte da scrivere.