NUOVA SOCIETA’
Maria Luisa Coppa, presidente di Ascom Torino, ne è certa: questo Governo non è amico delle imprese e la Città ha inflitto al tessuto produttivo una cappa depressa; senza visioni, coraggio e politiche di difesa e rilancio per il commercio, altro non ci sarà se non l’aggravarsi di una stagnazione che causa la chiusura di piccoli e medi esercizi, che non ce la fanno più. L’attenzione per le amministrative del 2021 è alta: saprà chi si candida alla guida della città guardare a un settore che lamenta strabismi e scelte fatte sulla sua testa?
Perchè si chiude?
Perché i consumi cambiano e perché ogni anno le imprese devono confrontarsi con qualche novità fiscale come lo scontrino elettronico: l’ultima invenzione, ma speriamo non entri davvero in vigore, è la lotteria degli scontrini: cosa si vuol fare del commercio, farlo diventare una sala da gioco, con ripercussioni estremamente negative, anche come immagine? Sulle imprese grava un peso sempre maggiore, di tasse, burocrazia e complessità. Altro che lotteria!
L’intenzione dietro la lotteria degli scontrini è quella di incentivare il cliente a chiederli, per combattere l’evasione fiscale.
Capisco l’introduzione dello scontrino fiscale per combattere l’evasione, ma forse questa andrebbe cercata soprattutto da un’altra parte: le nostre imprese stanno chiudendo perché non ce la fanno più. Quelli che evadono, sono quelli che si fanno i soldi, non quelli che abbassano la serranda per disperazione. Inutile continuare a vessare la piccola impresa, ormai è una persecuzione. Con un governo che non prende decisioni sul tema dell’economia, e se non c’è lavoro, se gli stipendi diminuiscono, è difficile immaginare che i lavoratori possano iniziare a spendere: c’è una stagnazione di occasioni mancate. Ciò che vedo è un panorama generale di preoccupazione. A livello nazionale il commercio cresce del 3 per cento, a Torino fa registrare il -8.
Tutta colpa di Amazon?
Amazon non ha tasse mentre il commerciante in Italia ne paga fino al 55 per cento, però Amazon è un competitor: come possiamo sostenere una competizione con qualcuno che gode di un simile vantaggio fiscale? Siamo ancora qui a domandarci se è possibile tassarlo del 3 per cento, mentre l’economia reale è distrutta a favore di chi ha casa madre in altri posti, che non pagano in Italia. Le città e i paesi vivono anche alle tasse dei commercianti: meritiamo attenzione. E’ fondamentale capire che obiettivo la politica si pone per il futuro: la sensazione è che chi sta governando questo Paese non ha pensato realmente a terapie per l’economia che possano invertire la rotta. I cantieri, le grandi opere, se partissero porterebbero lavoro e ossigeno ma siamo ingessati.
A proposito di grandi eventi, la città ha scelto di rinunciare ad alcuni, quali le Olimpiadi, o il Salone dell’Auto. Pesano queste decisioni sulla vostra visione e sulle casse?
È una situazione precaria dovuta anche alla profonda crisi di identità di Torino. Questo non può certo far bene alla fiducia dei torinesi e a quella dei consumatori e degli imprenditori. Eravamo abituati a coinvolgerli su tutta una serie di eventi che rappresentavano obiettivi e speranze di un’economia certo diversa da quella a cui andiamo incontro.
Manca uno scopo, dunque?
Torino aveva delle mete da raggiungere, obiettivi per cui lavorare: oggi se ci sono, non si vedono. E’ un aspetto emozionale molto importante. Manca la fiducia. Alla città manca un leader: abbiamo davvero bisogno di qualcuno che sappia avere degli orizzonti e una visione di una Torino strategica e innovativa: c’è bisogno che si riprogrammi e si reinventi la sua vera vocazione futura. Questo dovrà fare chi si candida a guidare la città.
Quali sono i vostri spunti per reinventare Torino?
Bisogna capire quali sono i punti di forza su cui puntare; c’è una questione industriale, sulla quale ci si augura che Torino mantenga un presidio importante, ma anche il turismo che è l’unico settore positivo, che produce pil, e non solo divertimento. Un’amministrazione che guarda al futuro, deve scommettere anche su una città che a livello nazionale e internazionale sia meta di viaggi e interessi culturali: cosa che oggi non accade. Anche Università e Politecnico sono strategici per la nostra città, hanno rafforzato le loro proposte e rappresentano un’anima profonda. Sulla cultura, sul valore di Torino prima capitale di Italia, dovrebbe esserci maggior esaltazione. Se c’è carenza nel sottolineare e promuovere il nostro patrimonio, questa poi si riversa sulle imprese.
Il turismo in Italia cresce, in Piemonte cresce meno.
Il turismo è aumentato del 19 per cento in Italia e Torino dell’8 per cento, secondo dati della nostra trimestrale. E’ positivo ma meno rispetto agli altri; è inutile dare dei numeri non leggendo quello che ci vogliono dire. L’andamento del turismo nella nostra città è positivo ma mentre il resto del paese cresce del 19, sul nostro territorio lo facciamo della metà. Quindi evidentemente è venuta a mancare quella spinta che negli anni passati era ben presente e propulsiva. Il turismo si fa con soldi, investimenti. Se non investiamo ad esempio sull’aeroporto, non dobbiamo lamentarci che poi sia in flessione. Una meta deve essere appetibile, deve essere raggiungibile. Strategica.
Diamo i compiti al candidato sindaco di Torino 2021.
Bisogna mettere in atto politiche per rinforzare la rete commerciale, perché non rappresenta solo un aspetto economico ma sociale, di sicurezza, che contribuisce alla qualità del vivere italiano che è prezioso e famoso in tutto il mondo. Intorno ai musei, avere una rete di negozi, un commercio vivace e accogliente. Non può non essere nell’agenda del futuro sindaco la situazione commerciale: deve tener presente la grande esigenza che abbiamo di abbassamento delle tasse. Non abbiamo mai goduto di attenzione è ora di invertire la rotta: bisogna ricominciare a valorizzarlo, capendo la fatica di chi tira su la saracinesca al mattino, per abbassarla alla sera magari con delusione per una giornata difficile. Noi siamo d’accordo che si debba lavorare sull’ambiente, ma non lo siamo quando vengono decise politiche di chiusura di aree fondamentali senza prima un ragionamento globale e un coinvolgimento delle imprese. Così, ci viene inflitto un colpo letale.