La Stampa

Federico Callegaro

 

Nel mercato coperto di corso Racconigi 51 si respira aria di dismissione. Metà degli esercizi commerciali ha già abbassato le saracinesche, mentre altri negozianti stanno smontando il mobilio delle loro attività. Non è colpa della crisi, però, perché macellai e panettieri che in questi giorni stanno ancora servendo la clientela spiegano che  i clienti non mancano. La ragione del fuggi fuggi  è una lettera del Comune che intima alla cooperativa che gestisce i banchi di abbandonare la struttura entro giovedì prossimo, 30  novembre.

 

La storia è antica e riguarda i mancati pagamenti al Comune da parte del consorzio che gestisce l’area, problema su cui anche la magistratura aveva aperto un fascicolo. Si tratta di oltre  660 mila euro che hanno portato Palazzo Civico, nel 2013, a dichiarare decaduta la concessione. La cooperativa di mercatali contro quel provvedimento ha fatto ricorso al Tar ma  l’ha perso. Eppure a distanza di un anno e mezzo dalla sentenza molti ambulanti sono ancora al loro posto. ecco perché dieci giorni fa la Città ha inviato una comunicazione con cui chiede di liberare la struttura entro fine mese. «Io il 25 chiudo tutto e vado via», racconta Marida Dezzani, titolare di una tabaccheria. «Finisco di smontare i mobili, che sono miei, e lascio». Aveva aperto nel 2001, anno in cui il centro era stato inaugurato: «Mi avevano bruciato la vecchia edicola e, vendendo casa di mio padre, sono riuscita ad aprire qui. Noi paghiamo un affitto alla cooperativa che amministra questi spazi ma i soldi chiesti dal Comune sono troppi».

 

ULTIMI INCONTRI

C’è anche chi ha deciso di resistere. Il 29, i negozianti rimasti si incontreranno in assemblea per studiare cosa fare. I portavoce del gruppo, invece, hano chiesto un incontro con l’assessore al Commercio Alberto Sacco per tentare un’ultima mediazione. «Se ci fanno chiudere mi vado a incatenare davanti al Comune – dice la titolare della panetteria Mamy -. Noi siamo qui da quando il mercato  ha aperto e non vogliamo andare via perché i clienti ci sono. Abbiamo sempre pagato  e se ci sono  responsabilità da parte di qualcuno sarà lui a doverne rispondere». Tra coloro che resistono c’è anche il «Dì per dì»: «Noi continuiamo a lavorare perché nessuno ci ha detto nulla», spiegano i dipendenti. Tra chi, invece, ha deciso di chiudere per trasferirsi c’è la storica macelleria Testa, fondata nel 1916.  «Non vogliamo andare via – spiegano in coro i commercianti resistenti -. Non è facile spostarsi, non è economicamente vantaggioso e si rischia di perdere la clientela».