LA REPUBBLICA
“Giusto governare il bilancio, ma senza rinunciare a investire. Altrimenti va a finire che ci si ritrova con i conti a posto e attorno il deserto”. Maria Luisa Coppa, presidente dell’Ascom Torino, non nasconde di essere preoccupata. Teme che la città getti al vento quanto di buono fatto dalle Olimpiadi in poi. Che sprechi i traguardi raggiunti in campo turistico.
Presidente cos’è che la preoccupa di più?
“L’inerzia. Con senso istituzionale, quando è stata eletta Appendino ci siamo messi a disposizione, abbiamo incontrato più volte gli assessori Sacco e Leon per offrire la nostra collaborazione, come sempre è avvenuto perché è giusto che un’associazione come la nostra dia il suo contributo. Anche di idee. Ma dopo un anno niente è accaduto, nulla si muove. E tra gli associati crescono i timori”.
Quali?
“Che si possa buttare via tutto quanto fatto di buono dalle Olimpiadi in poi. Oggi il turismo è a tutti gli effetti una voce importante dell’economia di Torino. La città ha davvero cambiato pelle, pur conservando la sua anima industriale. Tanta gente vive e lavora grazie a negozi e alberghi. Ma questa vocazione terziaria va curata. Non siamo Roma, Venezia o Firenze, mete che non hanno bisogno di eventi che fungano da richiamo per attrarre visitatori. Lì i turisti ci vanno a prescindere, potrei dire con una battuta. Torino in questi anni si è costruita un’immagine di città di arte e cultura grazie anche a una serie di mostre che ha spinto molta gente a venire per la prima volta in città, scoprendone poi la bellezza come ha dimostrato più di un sondaggio. Ma nell’ultimo anno le mostre sono sparite, e quelle che sono state organizzate sono state poco pubblicizzate”.
Si riferisce alla mostra persa di Manet?
“Certo. A Milano l’hanno visitata in 250mila. Questi turisti potevano e dovevano venire a Torino. Non possiamo rinunciare a eventi simili. Abbiamo grandi attrazioni come il Museo Egizio e la Reggia di Venaria, il museo del Cinema e il Mauto ma poi servono novità, sorprese che convincano i turisti a venire e soprattutto a tornare”.
Eppure anche le fondazioni bancarie, che pure hanno un ruolo importante nella cultura cittadina, sostengono che piuttosto che grandi mostre è meglio puntare su eventi creati in casa, sfruttando le competenze che Torino ha. Non condivide?
“Senza dubbio è una strada da percorrere. Abbiamo direttori preparati come Christian Greco dell’Egizio che sicuramente possono aiutarci a creare eventi con quel che hanno in casa. Ma non basta. Qui in Italia, soprattutto in campo culturale, c’è una tale concorrenza che se il tuo nome non è sui giornali o in tv si fa dimenticare. Una mostra come Manet avrebbe riacceso i fari su Torino. E invece nei primi sei mesi dell’anno negli alberghi si è registrata una flessione costante delle presenze, nonostante l’aiuto che è venuto dalla musica, grazie a una serie di concerti di grande richiamo che hanno portato in città appassionati da tutta l’Italia”.
Cosa hanno risposto gli assessori alle vostre obiezioni?
“Che non ci sono i soldi. Che c’è un bilancio da mettere a posto. Concordo: i conti prima di tutto. Ma non sono tutto. Voglio dire: bisogna governare il bilancio ma senza rinunciare a investire. Il deficit del Comune può anche essere cancellato ma servirà a poco se la città perde a poco la sua attrattività come meta turistica perché nessuno l’ha più coltivata. Mi aiuto con un esempio. Il museo Egizio c’è da più di un secolo ma è decollato dopo le Olimpiadi, diventando la metà obbligata per chi viene a Torino. Ecco perché le vocazioni vanno coltivate”.