FEDERICO GENTA
LA STAMPA

 

Quattrocento persone in media, con punte fino a quota 500. Dall’inizio dell’anno sono questi i numeri dei «clienti serviti», ogni giorno dagli uffici Equitalia di Torino. E forse basterebbe di per sé soltanto questo dato per capire quello che è successo, ieri mattina, davanti alla sede di via Alfieri. Qui, attorno alle dieci, le porte d’ingresso sono state chiuse. E senza tante spiegazioni, almeno a sentire la rabbia dei presenti, sulle ragioni della decisione. Con un’unica eccezione: chi aveva già ritirato il proprio numero di prenotazione del turno, poteva ancora entrare. Tutti gli altri no.

 

«Questioni di sicurezza e di tempi d’attesa», fanno sapere da Equitalia. Che spiega: «Quando la coda che si viene a formare all’ingresso pare eccessiva e potrebbe essere tale da verificare incidenti, sospendiamo la consegna dei numeri. Di conseguenza, viene chiuso l’ingresso per evitare che si verifichino inutili affollamenti». Il chiarimento non fa una grinza, ma vallo a dire a chi, per presentarsi in via Alfieri di buona mattina, si è preso qualche ora di permesso dal lavoro, ha attraversato la città, cercato e poi pagato il posto auto.

 

Ma cosa spinge in questi mesi centinaia di persone ad affollare alcuni tra gli uffici meno «simpatici» al cittadino? La cosiddetta «rottamazione», che per farla semplice si può tradurre con l’opportunità di sconti e nuove rateizzazioni delle cartelle esattoriali. I destinatari dell’opportunità sono stati avvisati con una lettera, spedita dalla stessa società di riscossione a qualcosa come cinque milioni di italiani.

 

Ecco così spiegate le code, la calca e la decisione di chiudere gli ingressi. Un cliché già visto in altre città d’Italia, da Roma a Genova. «Blocco temporaneo», puntualizza Equitalia, visto che già prima di mezzogiorno gli sportelli erano ritornati ad accogliere nuovi clienti. Peccato che gran parte di quelli arrivati alle dieci se ne fossero già andati.

 

Alla chiusura era presente anche il giornalista e scrittore iracheno Younis Tawfik, che ammettere di essere «tra i fortunati che, quando si sono sprangate le porte, aveva in tasca il biglietto. Ma attorno a me la confusione era totale. C’erano donne incinte, lavoratori infuriati perché si erano presi un permesso e non sono riusciti a combinare niente. Qualcuno stava aspettando il proprio turno dalle 8. Credo che un ufficio pubblico dovrebbe comportarsi in modo diverso».