(LA STAMPA ONLINE)
ANDREA ROSSI
TORINO
E se dallo sprofondo nascesse un ritorno al passato, quando all’ex Moi avevano sede i mercati generali? Il naufragio del polo dell’ingegneria biomedica nel giro di poche ore ha prodotto una duplice conseguenza: scatenare la resa dei conti tra i protagonisti del patto saltato; e costringere la Città a inventarsi un nuovo futuro per le arcate riqualificate nel 2006 e abbandonate subito dopo.
LA SUGGESTIONE
Per ora è una suggestione avanzata dal vicesindaco Guido Montanari, che ha la delega all’Urbanistica, ma il Comune potrebbe proporre di insediare all’ex Moi un mercato all’aperto e, sotto le arcate, una galleria destinata al piccolo commercio e alle attività artigiane, oltre a spazi per l’innovazione tecnologica. «Dal punto di vista urbanistico l’area del Lingotto è stata uno degli interventi olimpici meno devastanti», spiega Montanari. «Peccato che nessuno avesse pensato a una destinazione futura e che nelle vicinanze siano stati autorizzati grandi insediamenti commerciali, un modello oggi in crisi e a cui siamo contrari». L’idea, allora, «da discutere in giunta, con la circoscrizione e i cittadini» è recuperare la vocazione originaria dell’area, realizzata negli Anni Trenta, che «ha una straordinaria valenza architettonica».
La patata bollente ora è in mano alla Città. Che dovrà cercare una soluzione rapida per strappare l’area al degrado. L’ispiratore del progetto saltato, l’ex assessore all’Urbanistica Stefano Lo Russo, oggi capogruppo del Pd, ha chiesto le comunicazioni in Sala Rossa alla sindaca: «Ci preme conoscere il suo pensiero visto che aveva votato contro il progetto». Da Palazzo Civico ieri filtrava una certa irritazione che Appendino potrebbe esternare in Sala Rossa, spiegando che lei, tempo fa, aveva sollevato proprio questo problema: da consigliera di opposizione non aveva votato la delibera che affidava l’ex Moi a Università e Politecnico perché, tra le altre cose, riteneva che il Comune dovesse pretendere dai due atenei garanzie, anche finanziarie, sul loro impegno nel progetto. «Si è verificato quello che temevano, cioè che la fonte di finanziamento non fosse sicura», dice Montanari. «Ora dobbiamo risolvere un problema».
LA RESA DEI CONTI
La ritirata dell’Università, che ha costretto il Politecnico a fare altrettanto, ha innescato la reazione di Parcolimpico, la società a maggioranza privata proprietaria di un pezzo delle arcate, che ora medita di chiedere i danni. A chi? Al Politecnico, che in questa storia rischia di incassare una doppia beffa: è stato l’unico ateneo a scommette sull’ex Moi, stanziando 5 milioni, ha fatto da capofila all’operazione e ora ne dovrà (forse) pure rispondere.
Parcolimpico, dal 2010 al 2014, ha proposto alla Città – proprietaria del resto degli spazi – diversi progetti. L’ultimo ipotizzava un centro dell’arte contemporanea che ruotasse intorno a Paratissima, ma è stato stoppato dalla giunta Fassino che, nel frattempo, era riuscita a coinvolgere Università e Politecnico. E così Parcolimpico ha accettato una soluzione che, dal punto di vista economico, considerava penalizzante: su richiesta della Città e degli atenei aveva deciso di concedere i suoi spazi a un canone molto ridotto: 17 mila euro per il primo anno e poi a salire fino a poco più di 80 mila euro. Il pre-accordo è stato firmato lo scorso anno, ma solo con il Politecnico, che di questa operazione s’era fatto garante anche per conto dell’Università. Nei mesi scorsi il Poli ha presentato una bozza di convenzione, che Parcolimpico ha approvato, ma – nonostante varie sollecitazioni – il contratto ventennale non è mai stato firmato. Ed è uno dei motivi per cui Parcolimpico sta valutando un’azione legale.