Nonostante i peraltro timidissimi segnali di ripresa evidenziati negli ultimi giorni da Abi e Bankitalia, le condizioni del credito riservate alle micro, piccole e medie imprese restano estremamente difficili. E’ quanto emerge dall’analisi fatta dal direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella, nel corso della conferenza stampa convocata a Roma per illustrare l’analisi e le proposte di Confcommercio sulla questione. I dati, d’altronde, parlano quanto mai chiaramente (vedi allegato, ndr): tra il giugno 2011 e il settembre 2014 il credito bancario a imprese e famiglie è sceso del 6,6% complessivamente, ma se per le seconde si tratta di un -1,1%, per le prime la diminuzione è ben più notevole: -8,3%. Nel contempo sono salite ovviamente anche le sofferenze, come la banche hanno buon gioco a far rilevare, ma – ha detto Bella- si tratta di “una frazione fisiologica, un costo compreso nel margine di intermediazione”. Continuando ad analizzare i numeri, non certo lusinghieri, emerge che i tassi reali pagati da una pmi italiana sono attualmente superiori a quelli degli altri Paesi, più che doppi ad esempio rispetto alla Francia, e sono anche cresciuti rapidamente. A fine 2013 più del 60% delle pmi italiane poi, secondo i dati Bce, registra un aumento dei costi accessori del credito: si tratta di un primato europeo, di cui ovviamente c’è poco da rallegrarsi. Restando nel nostro Paese, una pmi paga mediamente oggi tra il triplo e il quadruplo rispetto una media o rande impresa. Mentre i recenti dati dell’Osservatorio confederale sul credito, vede la percentuale di imprese completamente finanziate attestarsi solo al 4,8% nel terzo trimestre 2014, mentre appena il 29% ha avuto la sua richiesta completamente accolta, dimostrazione plastica di un credit crunch troppo spesso negato o sminuito dagli istituti bancari. Secondo Confcommercio, invece, il calo del numero di imprese finanziate dal 2009 dipende per metà dalla crisi e per metà proprio dal credit crunch. Un numero per tutti: negli ultimi quattro anni le imprese avrebbero assorbito 97,2 miliardi in più rispetto a quanto è stato loro concesso. Come uscirne? Per Mariano Bella la risposta è nella necessità di “un salto di qualità imprenditoriale e creditizio, le banche non devono guardare soltanto ai numeri dei bilanci”.