Proponiamo l’articolo de La Stampa in merito alla presentazione del Piano mercati avvenuto ieri in III Commissione commercio a Torino.
(ANDREA ROSSI)
Per anni Torino ha fatto vanto dei suoi 42 mercati rionali. Così tanti da tenere testa a città come Barcellona e Londra che qui hanno inviato le loro delegazioni per studiare il nostro modello. Un primato che ora mostra la corda. Un mercato su quattro non è più in grado di sopravvivere: gestirlo costa molto più di quanto rende. Secondo il Politecnico, incaricato dal Comune di valutare lo stato di salute dei mercati, undici realtà non hanno più ragione d’esistere: la città, tra spese di pulizia e gestione, ci perde più d’un milione l’anno.
In crisi nera
Giulio Zotteri e Francesca Montagna, del dipartimento di Ingegneria gestionale, hanno provato ad analizzare che cosa non va. La ragione principale della crisi inarrestabile è che sono troppo piccoli. Piazza Carlina ha 5 licenze, via Cena addirittura una, piazza Chironi due; il più grande è corso Taranto, con le sue 33 licenze, ma perde quasi 190 mila euro l’anno. Mai come Mirafiori Sud: per mantenere tre bancarelle in via Plava la città ci rimette quasi 200 mila euro. «L’unica ipotesi è la chiusura, sapendo che per quasi tutti ci sono alternative nelle vicinanze», spiega la professoressa Montagna. La sopravvivenza sembra possibile solo per i due mercati di Falchera (8 bancarelle in tutto): verranno accorpati. «Per tutti gli altri valuteremo la disponibilità degli operatori a spostarsi nei mercati vicini».
Chi funziona e chi no
Dall’analisi del Politecnico, presentata in commissione Commercio presieduta da Gianni Ventura del Pd, si scopre che i mercati con buone performance sono i più grandi: Porta Palazzo, Racconigi, Brunelleschi, Foroni e Santa Rita. Sono anche i più saturi: quasi tutti i posti sono occupati. Anche chi ha saputo specializzarsi in una particolare categoria merceologica – come Benefica, Crocetta e Palestro – o ha una forte identità (come Chieti) funziona. Fa storia a sé Bengasi, la cui forza sta nell’avere poca concorrenza e un bacino di popolazione ampio. Tra i mercati di medie dimensioni, Barcellona, Grosseto e San Secondo hanno sì una concorrenza elevata ma servono una popolazione vasta mentre altri (come Santa Giulia) si trovano in una zona poco favorevole: scarsa popolazione e molta concorrenza. Alcune realtà sono invece troppo piccole rispetto al loro bacino potenziale. È il caso di Don Grioli, Guala e San Secondo: attraggono un numero di banchi (e clienti) inferiore alle loro potenzialità.
Nuovi orari
Chi funziona non verrà toccato. Sugli altri si sperimenteranno alcune novità: c’è chi resterà aperto anche al pomeriggio e chi non ci sarà tutti i giorni ma soltanto alcuni (fino a sera però). In generale l’idea è di spostare i tempi di vita dei mercati. «Che senso ha che i banchi vengano montati alle 7 se a quell’ora nessuno va a comprare?», si chiede l’assessore al Commercio Domenico Mangone. «A partire dai mercati generali bisogna rivedere tutti gli orari, spostandoli verso la metà della mattinata».Secondo il Politecnico la curva giornaliera dei mercati è un triangolo, con un picco d’attività tra le 10 e le 12 stretto tra due lunghe fasi di calma piatta. Le altre attività commerciali funzionano invece a trapezio: pochi clienti in apertura e chiusura ma un buon via vai nella fase centrale. Il motivo? «C’è sempre una sensazione di trasloco che scoraggia», dice la professoressa Montagna. «Al mattino presto ci sono gli spuntisti (i mercatali senza posto fisso) che montano i banchi, a mezzogiorno c’è già chi se ne va». Oltre agli orari, cambieranno quindi anche le regole.