LA REPUBBLICA – GIAMPAOLO VISETTI
Primo a sospendere le tradizionali bancarelle, il Trentino Alto Adige. Il giro d’affari nazionale l’anno scorso ha superato i 776 milioni di euro: quasi 12 milioni i visitatori da nord a sud in dicembre.
Stop ai mercatini di Natale in Alto Adige e in Trentino. Dopo trent’anni di boom senza fine, l’effetto-Covid annulla una delle tradizioni più amate dalla gente. Impossibile garantire il distanziamento sociale nelle strade, sui pullman e a bordo dei treni speciali che a centinaia da ogni regione avrebbero raggiunto le località leader del rito che precede le feste di fine anno. Dopo il divieto di fiere e sagre locali, contenuto nell’ultimo Dpcm, l’impossibilità di offrire ai visitatori prodotti tipici e bevande ha costretto anche gli organizzatori a prendere atto che le spese non sarebbero state compensate dai guadagni. Tra il 28 novembre e il 6 gennaio, causa pandemia, saltano così le luci delle famose casette in legno che nei entri storici accompagnavano le settimane dell’Avvento.
Il primo mercatino di Natale in Italia, inaugurato a Bolzano, risale al 1990. Aveva importato una tradizione dei Paesi nordici e di lingua tedesca, nata a Dresda nel 1434. Il successo si è rivelato tale da trasformare le bancarelle natalizie in un vero e proprio business. Lo scorso anno il giro d’affari nazionale ha superato i 776 milioni di euro: quasi 12 milioni i visitatori dei 556 mercatini diffusi ormai in tutta Italia, alimentati da oltre 28 mila espositori. I pernottamenti legati ai mercatini hanno toccato quota 2,5 milioni: 155 euro la spesa media pro capite di una visita.
Sono stati questi numeri, cruciali nella recessione economica innescata dalla pandemia, a far rinviare la resa fino a quando è stato possibile e anche nelle destinazioni preferite dai turisti. “In questo momento – dice il presidente altoatesino Arno Kompatscher – la priorità è garantire il funzionamento di scuola e imprese e per questo dobbiamo rinunciare a tutto ciò che non è irrinunciabile”. Quest’anno niente mercatini di Natale dunque a Bolzano, Merano, Bressanone, Brunico, Vipiteno e in tutte le località di montagna prese d’assalto a partire dall’ultimo fine settimana di novembre. Stop ufficiale anche a Trento, mentre è attesto ad ore l’annuncio dell’annullamento degli appuntamenti nell’intero Trentino. Le due province autonome, grazie alla competenza primaria in alcune materie, anticipano il “lockdown dei mercatini” che si profila in tutto il Paese. “Non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia – dice il presidente dei commercianti altoatesini, Philipp Moser – ma faremo il massimo per assicurare un’atmosfera natalizia a chi vive qui e a chi ama il nostro territorio”.
Gli ultimi vertici dei comitati per l’ordine pubblico avevano evidenziato più di un problema: l’assembramento fino a tarda sera davanti alle casette che offrono cibo e bevande, ma anche nelle strade e nelle piazze, nei parcheggi e nei pochi bagni pubblici. Il presidente Kompatscher, che ha già imposto la didattica a distanza per il 30% degli studenti delle superiori e la chiusura dei bar alle 23, ha rivolto anche un appello a rinunciare alle feste di Halloween e a limitare le castagnate d’autunno in compagnia, i famosi Toerggelen. Alto Adige e Trentino, come tutte le regioni delle Alpi, temono che nelle prossime settimane la seconda ondata della pandemia possa finire fuori controllo.
La conseguenza economicamente più pesante potrebbe essere una forte limitazione, se non il blocco, dell’imminente stagione turistica invernale dello sci, che dipende dall’apertura di impianti di risalita, piste e rifugi. L’annullamento della “movida dei mercatini natalizi” punta così a tentare di salvare l’ancora più importante economia legata all’industria delle settimane bianche, già in crisi per rinunce e possibili blocchi della clientela straniera. Per migliaia di artigiani, piccoli produttori, ristoratori, commercianti di decorazioni natalizie, addobbi, dolci e regali, lo stop ai mercatini è però una mazzata. Molti di loro, sui social, annunciano già che la stretta significa la chiusura definitiva di attività famigliari in alcuni casi tramandate da secoli.